Pubblichiamo qui di seguito una ricca sintesi e testimonianza personale di una catechista di Santa Maria Maggiore che ha partecipato al Convegno.
Sabato 2 settembre 2017, in Fossacesia (CH), si è svolto il Convegno ecclesiale diocesano sul tema “I giovani e la fede nel cambiamento d’epoca”. Sacerdoti, catechisti, educatori ed animatori di gruppi, movimenti ed associazioni giovanili, ecc. della diocesi, sono stati invitati dal nostro Arcivescovo P. Bruno, per affrontare il tema dei giovani che sarà al centro del Sinodo del 2018.
Nel corso della presentazione dei lavori del convegno, parte centrale ha avuto la relazione di Don Luca Violoni ( Prevosto di S. Giuliano Milanese – Decano di S. Donato – Pres. Fond. ambrosiana per la cultura e per l’educ. cattolica) che, partendo dal presupposto che oggi stiamo vivendo un “cambiamento d’epoca” e non “un’epoca di cambiamento”, idea già espressa da Papa Francesco a Firenze (2015), e quindi un cambiamento della cultura, afferma la necessità di un cambiamento anche dell’esperienza di fede. L’attenzione, inevitabilmente, si rivolge ai nostri giovani che spesso sono distratti e distanti; questi diventano priorità della chiesa locale in un’ azione educativa che sappia coniugare i loro bisogni e la scoperta del progetto di Dio.
Per realizzare questo percorso educativo è evidente che la fede dei giovani va accompagnata e curata così come ha fatto Gesù con i suoi dodici apostoli. A tal punto Don Luca parla del “discepolo amato” (D.A.) che compare nel Vangelo di Giovanni e che non ha una precisa identificazione, infatti la sua figura viene identificata:
-con uno dei due discepoli che sono andati dove Gesù abitava (Gv 1,35-39); -con colui che accompagna Gesù con Pietro nella casa del Sommo sacerdote, dopo la cattura di Gesù nel Giovedì santo;
-con l’Evangelista Giovanni
Ma è comunque una figura poliedrica, infatti nei vari brani di riferimento:
– egli si distingue sempre (reclina il capo, è presente sotto la croce, corre al sepolcro ed arriva prima di tutti, è il primo a riconoscere Gesù come il Signore, c’è sempre, soprattutto nei momenti decisivi…);
–non fa domande e non fa richieste ( tranne all’inizio: -Maestro dove abiti? E poi nell’ultima cena:-Signore chi è il traditore?).
-è un cercatore che entra subito in sintonia con il mistero di Gesù.
“…Gesù si cura di lui dall’inizio alla fine (Gv 1/21), dal primo incontro decisivo all’assegnazione del suo destino…”
Nella seconda parte della mattinata noi partecipanti siamo stati impegnati in attività laboratoriali e, divisi in gruppi, abbiamo approfondito uno dei dieci punti che ripercorrono idealmente l’esperienza del discepolo amato. Pertanto, partendo da una parola-chiave, titolo della relativa scheda, ogni componente del gruppo ha interagito riportando le esperienze vissute nella propria parrocchia per ciò che riguarda le iniziative relative alla formazione dei giovani. Questo momento è stato per me di particolare interesse perché nel confronto con altri formatori e, ancora meglio, con i giovani stessi, ho potuto condividere tante problematiche comuni fatte di difficoltà e di momenti di avvilimento ma anche di esperienze positive ed incoraggianti che ci servono da input per continuare a credere nella forza e nelle potenzialità dei nostri ragazzi per poterli poi guidare in un cammino di fede in Cristo Gesù.
Nella seconda parte del convegno, nel pomeriggio, Don Luca, ha risposto agli interrogativi che via via ci eravamo posti e ci ha presentato una Chiesa in missione in grado di poter accogliere i giovani a patto che si rispettino alcuni presupposti.
Nella relazione egli parla di una chiesa missionaria e giovane che “cerca di stare là dove effettivamente Gesù abita e passa”, infatti non c’è chiesa in uscita se non ci si pone la domanda del Discepolo amato.: Dove abiti? E’ necessario che si realizzino gli incontri dell’ “ora decima”, cioè quelli in cui uno decide in modo irreversibile per la sua vocazione. Pertanto non servono esperienze che occupano il nostro tempo libero, ma che rendono libero il nostro tempo, altrimenti il giovane si annoia e si allontana; mentre gli incontri dell’ora decima rallegrano il cuore e la mente, in cui si tocca la gioia del Vangelo, la luce che illumina ogni uomo.
Inoltre la chiesa è missionaria e giovane se “è capace di staccarsi dalle sue sicurezze e dai nidi rassicuranti”, quindi una chiesa in cammino che non ha paura di interrogarsi e di sperimentare guardando sempre il Volto del crocifisso risorto, perché senza il riconoscimento del Signore risorto non c’è vita cristiana.
Una chiesa in cui “i giovani sono soggetti e non oggetti”, protagonisti della missione, è una chiesa che segue le orme di Gesù che ha formato da sé i suoi discepoli, che li ha accompagnati nella crescita e li ha resi capaci di portare il Vangelo fino ai confini della terra…
Infine, una chiesa è missionaria e giovane se riconosce che la giovinezza è in se stessa un talento. Ma il talento è un dono di Dio, invece Giovanni Paolo II dice che loro stessi sono talenti in quanto giovani. Nella giovinezza però da un lato c’è il desiderio per il futuro, per l’innovazione, ci sono apertura e tanta energia, dall’altro si vivono titubanze, timori e paure per mancanza di esperienza; ma la giovinezza è il momento in cui si prendono le decisioni importanti su Dio e su tutte le dimensioni fondamentali della vita, pertanto come il D.A. è stato accompagnato nelle sue scelte anche noi, come Chiesa di Gesù, non possiamo tirarci indietro nell’aiuto amorevole ed incoraggiante, nell’accompagnamento paterno verso la conquista di qualcosa di tale “vera bellezza che vale la pena morire e dunque vivere”.
Il convegno si è concluso con le sintesi dei lavori di gruppo ed, infine, con le riflessioni di P. Bruno. Ogni gruppo ha condiviso le proprie riflessioni relative al punto preso in esame e parole come “ricerca – fare-casa – incontri – complessità – legami – cura – gratuità – credibilità – direzione – progetti” hanno rappresentato tutti gli aspetti di un unico tema, quello della fede nel giovane che interagisce in una comunità in cui ha il diritto di “crescere” seguendo un percorso di discernimento. Ed è a questo punto che noi formatori ed educatori abbiamo il dovere di “accompagnarlo” nella “ricerca” della via della salvezza; ciò significa che dobbiamo metterci in una posizione di “ascolto attivo” per stabilire con lui un rapporto di empatia ed entrare così nel suo mondo, talvolta troppo distante dal nostro, e non solo per dare quanto per ricevere ricchezza!
Inoltre dobbiamo “prenderci cura” di lui, ciò vuol dire essere accoglienti, donarglisi con la gioia di chi ha ricevuto gratuitamente, essere modelli in modo da far scaturire le domande: -Per chi lo fa? -Perché lo fa?
Ed, altresì, “essere testimoni di Cristo” per aiutarlo a scoprire le proprie risorse nella consapevolezza di “essere un talento”; ciò vuol dire fargli vivere esperienze di gioia e di amore nell’incontro con Dio perché possa vivere anch’egli l’ora decima come il discepolo amato da Cristo!
Questa giornata di studio ha suscitato in me tante altre riflessioni che, per economia, non mi dilungo ad esprimere in questo contesto, ma mi piace concludere con un’espressione di P. Bruno: “Aiutiamo i giovani a “compromettersi” per Gesù nelle diverse situazioni della loro vita e accompagniamoli nel delicato percorso di discernimento perché camminino con serenità e fiducia verso il domani: a nessuno dei giovani che ci è affidato sia “rubata” la speranza!
Grazie, ragazzi, di tutta la ricchezza, che in tanti anni mi avete regalato e spero che anch’io un semino di speranza l’abbia seminato nel vostro cuore!
Grazia Memmo, Catechista