Carissimi fratelli e sorelle,
nella Solennità odierna dei Santi Pietro e Paolo, lodiamo il Signore non solo perché ha voluto edificare la Chiesa sulle stabili colonne degli Apostoli, ma soprattutto perché Egli continua nei secoli la costruzione delle pietre vive per opera dello Spirito Santo, quello Spirito che continua a rendere contemporaneo Gesù che ci chiama. Oggi a Santa Maria Maggiore ci sentiamo attraversati da un clima di festa, la nostra Comunità è in festa perché quel Gesù ha concesso per ben 65 anni la Grazia del Sacerdozio al caro Mons. Decio D’angelo, per più di vent’anni prima collaboratore e poi parroco di questa porzione di Popolo. Non è nostra intenzione semplicemente celebrare un uomo ma, questo sì, la grandezza di Dio che opera meraviglie attraverso i suoi servi, una serie di grazie che si riverberano sui fedeli di molte generazioni. Lodiamo il Signore insomma per la chiamata al sacerdozio e in modo particolare per la chiamata di Don Decio. Egli 65 anni fa arrivò all’ordinazione nella Cattedrale di Chieti (il 29 giugno 1951) sigillando una scelta che avvenne nella sua fanciullezza quando ad 11 anni entro nel Seminario minore. Egli nasce da Domenico e Santa il 29 giugno 1928, assorbendo dai suoi genitori e dal contesto familiare quella sapienza che proviene dal mondo contadino e quella religiosità fatta di scelte robuste di fedeltà e sacrificio testimoniate nel quotidiano. Quel germe di vocazione iniziale dovrà essere temprato e verificato nelle varie stagioni della vita e lo vedrà pellegrino subito dopo la consacrazione prima come vice parroco nella parrocchia di Sant’Antonio in Chieti (1951), poi come parroco a Piano d’Orta (1952-1958), per offrire gli anni della maturità nella comunità di Ripateatina (1958-1969). Quando la sua vita sembrava dedicarsi alla pastorale, la sua laurea in filosofia e teologia, ma soprattutto le sue doti umane di perspicacia e prudenza, lo fanno apprezzare dell’allora Arcivescovo Mons. Loris Francesco Capovilla che lo sceglie quale suo Vicario per Vasto (1969). Si trasferisce così nella cittadina che lo accoglierà fino ad oggi all’età di 88 anni. In Città si farà apprezzare come Vicario e come docente di storia e filosofia accompagnando generazioni di studenti verso la maturità. Come parroco di Santa Maria Maggiore (1989-2009) ormai sessantenne si apre in definitiva la sfida di rimettersi in gioco non più dalla cattedra scolastica ma dalla scuola del contatto gomito a gomito con la gente. Non si può riassumere la ricchezza di una così lunga vita in poche battute ma si può cogliere l’occasione per fare memoria delle tante grazie elargite e ricevute in questo cammino di cui hanno beneficiato tanti qui presenti e tanti oggi in cielo. Noi oggi ci fermiamo per celebrare il Signore e dire grazie perché attraverso don Decio tanta luce e tanta pace hanno colmato i cuori degli uomini.
Nel Vangelo della Solennità odierna, Gesù pone una domanda: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13) e, qualche battuta dopo, si trova che: “Rispose Simon Pietro”. In questo dialogo mi viene da immaginare la sostituzione “Rispose Decio”! La risposta di quel ragazzo che ha richiesto coraggio e slancio iniziale, un pizzico di incoscienza e tanta fiducia in Colui che chiamava. Sì, quella risposta iniziale ci ricorda che la vita di ogni uomo e di ogni donna è fatta di opportunità da non rimandare e, nello stesso tempo,, di coraggio da rinnovare nel tempo attraverso la perseveranza. Anche tu, don Decio avrai visto diversi sacerdoti abbandonare la propria missione, anche tu avrai avuto le tue fatiche, i tuoi dubbi, le titubanze, le amarezze, le tentazioni di rallentare il passo, ma il Signore sempre, come per Pietro, è intervenuto. Nella Prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, infatti, davanti a Pietro imprigionato da Erode viene inviato un angelo. Pietro è imprigionato perché il Re vuole accontentare l’opinione pubblica dominante dei giudei, vuole saziare la sete di vendetta e la tendenza o la moda di un momento. C’è sempre in ogni epoca la prigione rappresentata dalle suggestioni del mondo, di quell’andare secondo la moda, accontentando gli appetiti delle folle senza più lasciarsi scomodare dalla Profezia del Vangelo. Pietro viene liberato, tirato fuori dalla prigione e proprio camminando – quasi senza rendersi conto del prodigio – si ritrova fuori. Gli viene detto di mettere i sandali, di indossare la cintura e il mantello e di seguire l’angelo e così si trova fuori. L’immagine è meravigliosa e dice che proprio camminando dietro la guida giusta ci si ritrova liberati, fuori dalle catene. Camminando si è testimoni. Camminando ci si libera. Credo che anche per te caro don Decio sia avvenuto lo stesso: non hai vissuto un cristianesimo studiato a tavolino o impostato teoricamente ma mettendoti a contatto con la gente e camminando con loro senza arrenderti al gusto della maggioranza ti sei accorto che a guidarti era un Altro che liberava i cuori. La tua consacrazione per ben 65 anni è testimonianza che è possibile seguire Gesù e rimanere contenti e non eterni insoddisfatti (o frustrati), è annuncio che è possibile seguire Gesù e rimanere ricchi di umanità e capaci di commozione; è possibile curare la propria vita spirituale e tenere viva l’intelligenza critica; è possibile avanzare negli anni e conservare la voglia di imparare con quella sana curiosità. Chiudo il mio intervento comunque troppo modesto rispetto all’evento che meriterebbe ben altre considerazioni con due immagini: le mani e le donne.
La prima immagine la ricavo da una consuetudine che caratterizza il rito dell’Orinazione sacerdotale. Subito dopo la consacrazione dell’eletto vi è lo scambio della pace e da secoli i sacerdoti baciano le mani del novello ordinato così come faranno i fedeli laici. Si baciano le mani del sacerdote perché sono mani che donano la Grazia di Cristo. Si baciano le mani del presbitero che hanno ricevuto il Crisma, l’olio profumato che oltre inserire nell’Ordina Sacro daranno la possibilità di amministrare tutti gli altri sacramenti. Quante volte don Decio le tue mani avranno assolto i peccati, innumerevoli volte avranno benedetto e consacrato il pane e il vino, avranno accompagnato gli ammalati e i moribondi e consacrato la vita degli sposi e poi anche i figli di quegli sposi. Le tue mani avranno distribuito innumerevoli volte quelle perle preziose per la vita dei fedeli. Benedette le tue mani prolungamento del tuo cuore sacerdotale. Noi ancora oggi baciamo quelle mani e le mani dei sacerdoti che non si appartengono perché appartengono a Cristo!
L’Altra immagine è relativa alle donne. Caro don Decio, dietro la vita di un sacerdote ci sono sempre delle donne discrete e proprio per questo preziose, delle donne che vivono il servizio del consiglio, dell’assistenza, dell’insegnamento con la vita, del sostegno generoso e gratuito. Sono donne che esprimono il loro dono totale con il sacrificio nascosto e che lavorano dietro le quinte per il bene del sacerdote. Una parola di gratitudine specialissima che diventa preghiera desidero dedicarla alla signora Santa la tua Mamma, alla sorella Mauretta che è in cielo e alla dolcissima Dusolina che continua a starti accanto. Che Dio benedica tutte queste donne insieme alle centinaia di catechiste e collaboratrici che ti hanno affiancato e che hanno reso la chiesa e le famiglie più umane e non perché non vi siano uomini robusti ad aiutarti ma perché forse un debito di riconoscenza lo dobbiamo, noi presbiteri, a quella porzione di popolo che arricchisce la Chiesa di una sensibilità che noi non riusciamo ad avere. Grazie a tutte queste donne che sono state alla tua ombra. Nella cultura biblica stare all’ombra significa essere protetti dalle insidie e dalle intemperie, custoditi dall’amorevolezza di Dio. Credo che di riflesso per tutte quelle persone che non nominiamo quasi mai e che sono state alla tua ombra oggi ci sia una luce speciale che brilla al cospetto di Dio.
Grazie don Decio per il tuo essere sacerdote di Dio, continua a pregare per questa gente che ti vuole bene, per me povero ministro e perché tanti ragazzi e giovani anche dalla nostra Città possano avvertire la gioia di una vita dono e continua scoperta della presenza di Dio. Concludo con una preghiera per le Vocazioni scritta da San Giovanni Paolo II e che troverete nel foglietto che vi verrà consegnato alla fine della Messa:
Signore Gesù, che hai chiamato chi hai voluto,
chiama molti di noi a lavorare per te,
a lavorare con te.
Tu che hai illuminato con la tua parola
quelli che hai chiamati,
e li hai sostenuti nelle difficoltà,
illuminaci con il dono della fede in te.
E se chiami qualcuno di noi per consacrarlo a te,
il tuo amore riscaldi questa vocazione
fin dal suo nascere, e la faccia crescere
e perseverare fino alla fine. Amen